In questo articolo parlerò del fenomeno delle grandi dimissioni. Tenterò un approccio interdisciplinare osservando la cosa da diversi punti di vista.

Dimettersi in tempi di crisi sembra una follia, eppure in questo mondo sempre più caotico e imprevedibile abbiamo il dovere di capire meglio i fenomeni. Per farlo ci servono approcci interdisciplinari. Il fenomeno delle grandi dimissioni è una sfida, perché ci costringe ad un ragionamento che non sia tecnico-specialistico, quanto piuttosto frutto di una visione generale della realtà sociale.
Grandi dimissioni, l’inizio.
Sono iniziate negli Stati Uniti nel 2021 come risposta alla politica del governo, che non ha fornito sufficiente protezione sociale dai danni economici causati dalle restrizioni messe in campo per contrastare la pandemia di COVID-19. Questo almeno è quello che scrive Wikipedia. Ma è davvero così?
In realtà, a mio avviso, il fenomeno delle grandi dimissioni rappresenta una reazione di rigetto allo status quo, che ci segnala la crisi di queste istituzioni e modelli sociali:
– il liberismo;
– la rappresentanza politica e sindacale;
– la gestione delle risorse umanane in azienda.
Ne parlerò tra poco, ma prima prima faccio delle considerazioni che riguardano alcune coincidenze di tempo e significato. Coincidenze sincroniche appunto.
Grandi dimissioni e sincronicità.
A mio avviso, le grandi dimissioni sono un tentativo reattivo e di massa di sfuggire alla realtà (la pandemia e la sua gestione), un po’ come nel Decameron, dove la brigata di Boccaccio sfugge alla peste rifugiandosi in campagna e raccontandosi novelle.
Ma non solo. Prima della pandemia, l’economia americana già andava avanti a bassi salari e poche prospettive. Il fenomeno delle grandi dimissioni rappresenta la reazione dell’organismo sociale alla crisi del liberismo, che trova nella pandemia del COVID-19 la sua metafora perfetta della fine della storia, come disse Francis Fukuyama, ma agendo al contrario di quanto previsto dal politologo. (fine del capitalismo cioè, e non sua immanenza). Lo spiegherò meglio alla fine.
Si tratta quindi di una coincidenza significativa? Sincronica? Si. La pandemia del COVID-19 simboleggia la malattia sociale di un liberismo insostenibile e le grandi dimissioni sono la febbre che la malattia stessa provoca, nonché l’inizio di un lenta ripresa della storia, verso modelli di sviluppo diversi. L’organismo sociale (rappresentato dai lavoratori) reagisce al virus che lo attacca. Nulla accade per caso e non è un caso che questo fenomeno sociale abbia cominciato a manifestarsi proprio durante un’emergenza sanitaria.
Crisi del liberismo.
Il capitalismo non è più quello che c’era fino alla fine degli anni 70, cioè crescita della produzione industriale con conseguente incremento dell’occupazione.
La falsa epistemologia della mano invisibile del mercato che tutto regola e porta benessere a tutti, si è rivelata una fantasia priva di riscontri empirici.
In tutti i paesi OCSE la disoccupazione è strutturale, la differenza tra ricchi e poveri aumenta, le persone non trovano lavoro in base a quello che hanno studiato, oppure non trovano affatto lavoro e c’è sempre meno spazio per condurre una vita decente, figuriamoci per coltivare le proprie aspirazioni personali.
Crisi della rappresentanza politica a sindacale.
Nei paesi occidentali, spesso i sindacati e i partiti non rappresentano più le istanze dei lavoratori, che delusi e isolati, non partecipano più alla vita di queste organizzazioni.
Il fenomeno delle grandi dimissioni è un atto anarchico del singolo che non si riconosce più nella collettività e nei suoi “corpi intermedi”. I partiti sono una rappresentanza di diritto pubblico, i sindacati sono una rappresentanza di diritto privato. La crisi di entrambi è la disintegrazione della società.
Crisi della gestione delle risorse umane in azienda.
Ormai l’insegnamento di Maslow è solo un simulacro privo di contenuto. Maslow è stato un grande, ma per molti raggiungere la cima della sua piramide resta un miraggio. Non siamo più nel dopoguerra, non c’è più quell’ottimismo della crescita che ha portato alla nascita della psicologia umanistica.
Le politiche del personale si basano sui concetti di “vision” e “mission”, che non sono altro che obiettivi di marketing trasformati i valori posticci e non vissuti con un coinvolgimento emotivo autentico.
Nei luoghi di lavoro, parole come collaborazione, spirito di squadra, creatività, responsabilità, solidarietà, ecc…, vanno bene se non assumono una connotazione critica e fuori dal coro.
Il fenomeno delle grandi dimissioni è anche una risposta al modo stereotipato di gestire la persona, facendo finta che si tratti di una “risorsa”.
Francis Fukuyama e la fine della storia.
In conclusione, le grandi dimissioni sono fenomeno carico di anomia e di anarchia. Sono energia sprecata e non canalizzata nel collettivo, ma rappresentano anche una sfida disordinata, reattiva e disorientante (in quanto inaspettate e in controtendenza) verso un sistema di omologazione che ormai mostra la corda.
Con la caduta del muro, Francis Fukuyama aveva ipotizzato che il modello di sviluppo vincente e definitivo fosse il capitalismo e che di conseguenza la storia si fosse “fermata”. Io penso che studiare significhi capire. Io ho capito che la terra ha miliardi di anni, l’esistenza dell’uomo è una frazione piccolissima di questo tempo e all’interno di questo spazio così risicato usi, costumi, imperi, governi, religioni, ideologie sono comparse e scomparse. La storia non si ferma mai.