Società

Come riformare le professioni

In questo articolo farò chiarezza su una questione annosa: riformare le professioni.

Conseguire un’abilitazione è un’ambizione di molti (giovani e non). Tuttavia, questo traguardo non è sempre facile e non è accessibile a tutti e per tutte le professioni.

Sono passati molti anni da quando ho preso l’abilitazione di consulente del lavoro e qualche anno da quando ho conseguito la qualifica di tributarista secondo la legge della professioni non ordinistiche (legge 4/2013).

Direi che ho una certa esperienza sull’argomento e riformare le professioni è ancora una faccenda scottante che va risolta per almeno due motivi:
– Garantire all’utenza una reale professionalità degli operatori;
– Non creare inutili barriere all’acceso e favorire l’occupazione.

La riforma delle professioni si può fare se affrontata con buon senso e senza interessi di parte. Seguimi nella lettura sto per spiegartelo bene.

Competenze professionali per garantire l’utenza.

A mio avviso, nessun accesso ad una professione dovrebbe essere consentito senza un periodo di lavoro nel settore di interesse. Questo è il primo passo per riformare le professioni.

Al giorno d’oggi, al contrario, per esempio, per diventare, broker assicurativo o consulente finanziario viene previsto solo l’esame di abilitazione.

Quasi allo stesso modo, per diventare amministratore di condominio (anche se non c’è un albo), basta il diploma di scuola media superiore e un corso di 75 ore. A mio avviso, le ore dovrebbero essere 750, oppure ci dovrebbe essere un esame (su più materie) preceduto da un periodo di lavoro nel settore. La questione delle competenze riguarda proprio la formazione, ovvero l’efficacia di quanto appreso nel praticantato e le conoscenze acquisite preparando l’esame di abilitazione.

Il praticantato.

E veniamo al primo dito nella piaga, il praticantato. Spesso è gratuito e la sua efficacia formativa è lasciata al buon cuore del professionista “dominus”.

Inoltre, alla fine del periodo di pratica, la maggior parte degli esami, come concepiti oggi, valuta soprattutto le conoscenze teoriche, piuttosto che le competenze pratiche.

La domanda allora mi nasce spontanea: i cittadini e le imprese si trovano sempre di fronte a professionisti preparati?

A mio avviso, il praticantato dovrebbe essere retribuito (magari con agevolazioni fiscali e contributive) e dovrebbe durare almeno 24 mesi (e non 18 come gli attuali).

Secondo me infatti, qualcosa che viene pagato, ha un valore che va utilizzato fino in fondo e non solo usato per mansioni di comodo o di basso profilo (come fare giri per uffici, scansioni, fotocopie, spunte di tabulati, sistemazione di documenti ecc…).

Il praticantato non dovrebbe essere l’unica esperienza ammessa. Per ogni professione, dovrebbero essere sempre previsti, periodi di lavoro dipendente e\o autonomo, sostitutivi del praticantato stesso. Infine, il praticantato dovrebbe essere sostituito (quasi sempre almeno) dalla frequenza di apposite scuole, alle quali si potrebbe accedere se non si è già praticanti e in assenza di altri requisiti lavorativi equivalenti. In parte comunque è già così.

Queste scuole dovrebbero essere:
– Attivate in ogni capoluogo di provincia o sede territoriale dell’albo;
– Prevedere una selezione all’ingresso;
– Prevedere una formazione teorica e pratica;
– Prevedere la frequenza a tempo pieno;
– Prevedere un’indennità di frequenza e il rilascio di un diploma.

Laddove possibile, potrebbero essere attivati anche corsi online, ma da frequentare a tempo pieno ed esclusivo.

L’esame di abilitazione.

E’ Il secondo dito nella piaga. Togliamolo subito allora.
Niente tema e prova orale. Solo criteri oggettivi, quindi:
– Test a risposta multipla;
– Prove pratiche a punteggio predeterminato.

Diploma di abilitazione.

Conseguire un’abilitazione significa, di fatto, ottenere un diploma che certifica conoscenze teoriche e abilità pratiche. Le due cose insieme, superano la conoscenza di partenza del titolo di studio scolastico o accademico previsto dalla professione stessa.

Mi spiego. L’abilitazione finisce per diventare, di fatto, un grado di studi più elevato che dovrebbe essere riconosciuto con un apposito diploma rilasciato dal Ministero dell’istruzione. Lascerei alcuni titoli abilitanti se prevedono il tirocinio durante il corso di studi, come le vecchie scuole universitarie “dirette a fini speciali”, di cui ho fatto già menzione nel mio articolo su come riformare davvero scuola e università.

Lascerei le abilitazioni collegate ai diplomi tecnici di scuola superiore (geometra, periti). Oggi si parla di portare tutto a livello di laurea triennale. Se il sistema scolastico non cambia, secondo me, invece, è un errore e ora spiego perché.

Come ho già scritto a proposito di riforma dell’università le professioni per diplomati sono di fatto, e già da tempo, lavori che richiedono una formazione superiore a quella scolastica.

A mio avviso, scuola e società devono andare sotto braccio e non essere separate. Le esperienze di lavoro e la formazione professionale devono formare crediti per conseguire titoli di studio tecnici post diploma.

I diplomati tecnici (che appunto hanno già formazione tecnica di base) dovrebbero superare degli esami in più, oltre quello finale di abilitazione e dimostrare esperienza lavorativa.

Per questi motivi, alla fine del percorso, dovrebbero poter conseguire ciò che per molti è già di fatto una realtà, cioè un baccellierato di studi professionali superiori, abilitante ad una professione. Riformare le professioni, significa anche recuperare alla scuola altre esperienze, in un quadro coerente di certificazione delle competenze, in un’ottica di “long life learning”.